Affiancamento emotivo e psicofisico nella pratica degli sport estremi

sport estremi

Spazio dedicato all’ascolto attivo e al sostegno psicologico alle persone che praticano o sono attratti dal “brivido” degli sport estremi come il paracadutismo sportivo, il volo nei simulatori, arrampicata sportiva.


Che temi si affrontano?

È un luogo dove poter affrontare tematiche che riguardano da vicino le persone che per passione o per lavoro si mettono continuamente in una condizione di “pericolo”; se pur controllato e calibrato alle proprie capacità psico-fisiche attuali.


Percorsi possibili

È possibile organizzare stage esperienziali con i professionisti delle varie pratiche sportive:

  • simulatori di volo (Wind tunnel);
  • campi sportivi per paracadutisti;
  • arrampicata sportiva con persone esperte nel settore.

Personalmente, mi occupo dell’elaborazione emotiva, cognitiva e psicofisica dei vissuti e delle dinamiche psicologiche che possono entrare in gioco nello svolgere tali pratiche sportive.


Il termine “estremo”

Il termine “estremo” e la conseguente “esperienza del limite” identificano l’esposizione dell’individuo a una situazione di rischio, di difficoltà, che lo obblighi all’abbandono delle proprie reti di sicurezza, che gli garantiscono lo svolgersi dell’esistenza quotidiana, accettando sfide da parte di una forza esterna. È il recupero dell’idea del corpo come la sede della verità sul soggetto e delle necessità che lo spingono a una sua libera espressione.

Questa messa alla prova attiva una risposta del corpo che innesca risorse inattese: molti sportivi, nei loro racconti, fanno emergere la sensazione di vivere una sorta di stato di grazia, in cui il loro corpo trova istintivamente le risposte migliori e più adeguate all’esperienza e al contesto che si trovano ad affrontare. Forse, l’aspetto paradossale del limite è proprio quello per cui l’individuo si trova a poter attingere forze inaspettate da riserve nascoste, proprio nel momento di massimo dispendio di energie e di vitalità.

Se ne deduce che, il gioco col limite e l’esposizione al rischio rappresentano una sorta di medaglia a due facce della prestazione stessa: è solo esponendosi al rischio che si ha la possibilità di fare un’esperienza dell’estremo. Negli sport estremi possiamo, così ritrovare la duplice tendenza di andare, da un lato, oltre i propri limiti e modificare la realtà e, dall’altro, l’impegno che spinge l’individuo a cercare e trovare sempre nuove soluzioni per superare le proprie capacità.

Gli sport estremi comportano una transizione, un passaggio di stato, che è possibile raggiungere attraverso l’esposizione al rischio; questo avviene principalmente in modo individuale, come potenziamento del Sé.

“Se l’unico limite all’agire è dato dalla quantità di energia e di forza disponibile, allora tutto tende a trasformarsi in frontiera; possedere in abbondanza la capacità di trasformare rende il trasgredire e il violare un imperativo” (Bauman, 1999).

L’attrazione per tutto ciò che è sconosciuto e imponderabile è un elemento insito in ogni essere umano: una vera e propria propensione dell’essere alle attività estreme.


Rischio come impulso innato di riscatto personale

Emozioni forti e intense per una completa realizzazione dell’essere umano: il rischio è un impulso innato che porta l’individuo a voler superare prove e ostacoli per sentirsi vivo, sottoponendo il proprio corpo a confronto con la morte simbolica. Molte persone approdano a questi sport e ci si dedicano appieno per accrescere se stessi.

Il riscatto personale: la ricerca di sensazioni forti, imprevedibili e cariche di adrenalina in cui l’esistenza e la sopravvivenza sono condizione subordinata a scelte giuste o sbagliate, per la realizzazione di se stessi e la creazione di un’identità capace che gli permetta di affrontare il mondo.

L’individuo ha la possibilità di immaginare come vorrebbe la realtà e come potrebbe essere differente da quella che è realmente, ha le capacità di immaginarsi in svariati ambiti e situazioni nuove.


Commercializzazione del rischio

Man mano che gli sport estremi vanno affermandosi come pratica sportiva, non solo più come sport di nicchia, ma come fenomeni di costume, si assiste a una commercializzazione del rischio in una versione più sicura, al riparo dal vero rischio – una versione addomesticata in cui l’individuo ha la possibilità di affrontare se stesso in un contesto protetto e supervisionato da esperti. (Ferrero; Camoletto, 2005).

Come ci dice David Le Breton (Le Breton, 1995), le società occidentali riscoprono una profusione di pratiche sportive, che puntano e mirano sempre più all’impegno rischioso da parte dell’individuo. La necessità di crearsi dei limiti risponde a un’esigenza antropologica.


Alla ricerca del proprio significato personale

Attraverso la ricerca dei propri limiti l’essere umano riscopre e indaga le proprie caratteristiche, esamina cosa vede e così facendo impara a conoscersi e riconoscersi in mezzo agli altri.

In assenza di significati, l’individuo cerca intorno a sé dei limiti reali e tangibili per ricrearsi un’identità personale. Quando i limiti naturali fissati dall’insieme di valori e significati perdono legittimità, è normale assistere a un aumento delle esplorazioni dell’estremo, come spinta al punto più estremo di tutte le proprie risorse fisiche.

Paradossalmente, ricercare e sfiorare, deliberatamente, la morte conferisce un più elevato prezzo alla vita, quando manca un sistema di valori condiviso collettivamente, capace di evitare all’individuo tale necessità. (Lyng, 1990).
Il rischio diventa una riserva da cui attingere nei momenti difficili della propria esistenza, per accrescere la gioia di vivere o per ritrovarla.

È proprio perché si ha la possibilità di perderla, che l’esistenza diventa degna e carica di valori. L’individuo, come ci ricorda David Le Breton (Le Breton, 2002), ritrova, in questi momenti dedicati all’estremo, il pieno godimento di un’esistenza concreta che altrimenti tende a sfuggirgli ogni giorno di più – L’esistenza individuale oscilla tra l’esigenza di sicurezza e il desiderio di voler trasgredire.


Sicurezza e rischio come due lati della stessa medaglia

Recenti analisi deducono che la sicurezza e il rischio usano modalità opposte per, in realtà, cercare di ottenere i medesimi obiettivi, combattono entrambi contro l’anomia in ambito sociale. Il limite cerca i propri confini con il gioco e l’apertura, la sicurezza invece con il timore e la chiusura.

Il rafforzarsi della sicurezza restringe parzialmente le libertà individuali attivando nell’individuo la ricerca d’imprese in cui gli attori assaporando il rischio allontanano provvisoriamente le costrizioni. Il pericolo, in questo senso, si trasforma in spazio di libertà in cui l’individuo può affermare se stesso in un contesto di cuccagna in cui il simbolico abbonda ed è a portata di mano dei più audaci (Le Breton, 1995).

Respinto dalla sfera collettiva come minaccia, il rischio riscopre il fascino dell’ignoto spingendo l’individuo alla trasgressione.
L’incertezza spinge e autorizza l’individuo a sviluppare le proprie abilità innate, i propri riflessi, e a realizzarsi sempre più nell’azione che svolge.

Più complesse sono le difficoltà, richieste da un determinato passaggio o scoglio, tanto più l’individuo si sente realizzato, rinforzato e felice di essersi messo alla prova: tanto più tutte queste esperienze lasciano una traccia nella memoria e tanto è maggiore la loro forza simbolica per l’individuo stesso.


Desiderio e ricerca del brivido e del superamento dei propri limiti

Spesso la passione che conduce l’individuo a ricercare il brivido e trovare in se stessi la forza di superarlo non è sufficiente e alla rielaborazione psicologica ha in questo senso un ruolo importante nella riorganizzazione emotiva ed esperienziale in un’ottica di crescita personale.

L’essere umano ha sempre ricercato i propri limiti con l’intento di poterli superare: metro di misura da cui auto-regolarsi e testare se stesso. Riconoscere i propri limiti in maniera consapevole, riconoscere le proprie paure e le proprie limitazioni è protettivo per il proprio benessere psicofisico;

allo stesso modo provare con coscienziosità, a piccoli passi, a supere alcune modalità di relazionarsi al mondo e alle avversità porta con sé grandi insegnamenti utili nell’affrontare la quotidianità nel nostro qui ed ora.


Funzione adattiva della pratica degli sport estremi

Praticare sport estremi obbliga e insegna alle persone la preziosità del momento presente limitando pensieri intrusivi. Nella pratica di tali sport è necessario mantenere un’attitudine vigile e diretta al qui ed ora per rimanere concentrati su cosa si sta facendo e preservare la propria vita messa alla prova in condizioni di avversità. Questo atteggiamento vigile e centrato sul presente insegna alle persone ad affrontare gli imprevisti che si presentano con meno ansia e con una maggiore capacità di gestire lo stress se, successivamente, rielaborate e integrate in maniera costruttiva in un percorso psicologico finalizzato a rafforzare l’empowerment e il self control dell’individuo.


Fattore Ulysse

Alcuni ricercatori parlano di “fattore Ulysse” per indicare quella spinta innata della ricerca dell’ignoto e dell’andare “oltre” – curiosità innata dell’essere umano di spostare in avanti i propri limiti il più possibile ed affrontare ciò che viene considerato impossibile.

Altri ricercatori, invece, sottolineano come l’amante dell’estremo e dell’avventura rifletta uno specifico profilo di personalità, quello dello stress-seeker, che ha bisogno di esplorare i propri limiti per provare emozioni forti.

Il corpo viene, in questi ultimi anni, rivalutato come sede delle verità profonde sugli individui; il corpo è visto e considerato come luogo di sperimentazione, scoperta e appropriazione di sé. Praticando questi sport, l’individuo può far riaffiorare la propria natura più profonda, sperimentando l’ideale di libertà; creandosi un percorso di auto-esplorazione e auto-formazione.

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