naturale ricerca del rischio

In una società ossessionata dalla sicurezza, la ricerca del rischio appare certamente come uno dei tratti più identificativi dei nostri tempi. Si sente l’immancabile voglia di creazione di un senso, che animi le società umane. 

Per Erik Erikson (Erickson, 1974) l’adolescenza è il tempo ideale per il cambiamento che si attua superando i momenti di crisi che la contraddistinguono e trovando un accomodamento tra quello che il giovane vorrebbe essere e quello che, invece, la società si attende da lui. 

L’ingresso nella vita è, per tutti gli adolescenti, un periodo di prova, di lotta, di crisi e spesso di rinunce, in cui il giovane di oggi è posto davanti a svariate prove, spesso abbandonato e allo stesso tempo limitato nelle sue scelte. 

Gli adolescenti sono spinti a giocare la propria sicurezza o la propria vita a rischio di perderla, per guadagnarsi, tramite il superamento di prove rischiose, quell’identità e status d’adulto che la società odierna riesce sempre meno a garantirgli. I giovani “risentono” la necessità di ritrovare, nella forza di questi attimi di rischio, il sentimento di esistere, sentendosi fisicamente vivi e contenuti e soprattutto, rassicurati sulla propria esistenza.

Ordalia primitiva e ordalia moderna

David Le Breton (Le Breton, 1995), utilizza il rito dell’ordalia primitiva per spiegare questo bisogno impellente nei giovani di rischiare e mettere in pericolo il proprio corpo, pur di ricrearsi un’identità e uno status sociale accettato dalla comunità. 

L’ordalia è un rituale in cui si sottoponeva l’uomo, su cui si avevano sospetti, al giudizio di Dio per verificare se fosse innocente o colpevole. Il giudizio divino, interrogato, esprime il suo verdetto attraverso la sottomissione dell’uomo a una prova dolorosa. L’esito di tali prove, (morte o sopravvivenza dell’uomo) si rivela, agli occhi della comunità, come prova indiscussa di colpevolezza o innocenza. 

L’ordalia moderna, non potendo più essere attuata come un vero rito culturale, è vista, invece, come una risorsa individuale, una figura inconscia con la quale l’individuo chiede alla morte, mediante un’azione pericolosa, se la sua esistenza ha ancora un prezzo e un senso. 

Estremo e rischio negli sport contemporanei

Estremo, rischio e ordalia sono termini vivi nel campo delle pratiche e degli sport contemporanei. La pratica sportiva diviene, così, uno spazio che appartiene solo a noi stessi e che ciascuno fa proprio. Un modo nuovo di guardare e guardarsi, affinché l’impegno non sia solo questione di punteggi, ma soprattutto occasione di sperimentazione dei tanti sé che s’incontrano e scontrano in una stessa persona. Gli adolescenti contribuiscono a dare così un senso alla loro vita tramite l’esperienza. 

La pratica di sport estremi va in questo senso vista come un’occasione speciale, uno spazio prezioso e unico rispetto agli altri contesti della vita quotidiana.

L’adolescente ha la possibilità di toccare con le proprie mani, e tutto il proprio corpo, le sensazioni che ne derivano, anche se il prezzo da pagare per ottenere tutto questo è sottoporsi a uno sforzo all’aldilà delle proprie forze. L’essere umano sente la necessità interiore di sperimentarsi e oltrepassare i propri limiti (Le Breton, 1995).

Il rischio, se intrapreso liberamente e in maniera consapevole e controllata, procura, attraverso la pratica di attività intense e gratificanti, la capacità di reinterpretarsi, di scappare dalla noia e instaurare una relazione con ogni singolo istante della vita. 

Alcuni autori che si occupano di adolescenza parlano di “propensione al rischio come fase specifica” evidenziando le differenze che intercorrono tra propensione al rischio e comportamenti concretamente pericolosi, ma sottolineano quanto sia di primaria importanza e necessità per gli adolescenti rischiare. 

Secondo la prospettiva evolutiva, va considerato come un processo fisiologico di cui il giovane necessita per crescere, capire chi è e chi vorrebbe essere, capire e definire i suoi punti di forza e i suoi limiti.I giovani hanno bisogno di un contenitore, sentono, sempre più, la necessità di trovare un limite fisico, proprio là dove mancano i limiti simbolici, per sentirsi finalmente vivi. 

La cultura del rischio in adolescenza

La propensione al rischio sembra contraddistinguere il periodo adolescenziale. L’adolescenza rappresenta quella fase del ciclo di vita in cui il rischiare è visto come un bisogno impellente per imparare, sperimentando comportamenti rischiosi, che vanno visti come normali tappe del processo di sviluppo (Bonino S., 2005).

La motivazione e i cambiamenti biologici portano i ragazzi a modificazioni del sistema cognitivo, della percezione dell’ambiente sociale di sé e dei propri valori personali.Lyng (Lyng, 1990) spiega che l’adolescente, sentendo le costrizioni della società (controllo, stress, etc.), cerca di compensare il vissuto personale e combattere la passività, realizzando la propria l’individualità attraverso strade alternative: la velocità, i giochi al limite, l’incerto in tutte le sue forme. 

Il rischio volontario

Il rischio volontario è visto come la risposta più diretta ai vincoli e ai determinismi sociali ed è il modo che l’uomo adotta, sempre più, nelle società dei nostri tempi. Negli ultimi decenni si è vista una crescita considerevole dell’interesse dei giovani per gli sport estremi: sempre più adolescenti sono attirati e attratti dalla sfida contro se stessi, i propri limiti fisici e soprattutto mentali, lottando contro le proprie paure e andando contro i limiti di natura quali il vuoto, la velocità, il vento, l’altezza. 

La ricerca del rischio, tipica di questo periodo dello sviluppo, si appoggia ai meccanismi dell’agire impulsivo che gli adolescenti ricercano per esteriorizzare i propri conflitti interni. 

Rischio controllato e sport estremi

Coloro che praticano sport estremi parlano, invece, di vera e propria filosofia di vita matura e riflessiva, affermando che il loro desiderio di “superare i propri limiti” è dettato da un atteggiamento maturo di coraggio, indipendenza e autonomia (Lyng, 1990). Generalmente, gli sport estremi attirano due tipologie differenti di individui.

Una prima tipologia è contraddistinta da quei soggetti che, attraverso la pratica di questi sport vogliono entrare in contatto con i propri stati d’animo di forza, sicurezza, coraggio, libertà e con le proprie emozioni più profonde. I giovani che appartengono a questo gruppo evitano con attenzione i pericoli dando valore, soprattutto, al rapporto con la natura e ricercando di ampliare le proprie abilità con stati d’animo di inclusione.

Una seconda tipologia è, invece, quella di quei giovani che, spaventati dalla vita e incapaci di misurarsi con il mondo e la paura della morte, ricercano nello sport estremo, situazioni di rischio e sfida alla morte; per dimostrare continuamente agli altri e soprattutto a se stessi di non temerla e di saperla affrontare. Generalmente queste persone, a causa dei loro timori e paure, si buttano in situazioni pericolose e rischiose per abbassare almeno per un po’ di tempo l’ansia e la tensione che provano.

Da come si può leggere nel libro di David Le Breton Passione del rischio (Le Breton, 1995), giocare, per un instante, la propria sicurezza e, a volte, la propria vita, rischiando di perderla, per raggiungere e guadagnare la propria presenza nel mondo e strappare un sentimento di esistenza, è fondamentale per sentirsi fisicamente contenuti e rassicurati nella propria identità.

La società

La società propone un mondo, che in realtà, non corrisponde esattamente a ciò che i grandi hanno raccontato ai giovani dei nostri tempi, creando così nell’adolescente, una voglia persistente di significati. Un mondo in cui è difficile o quasi impossibile entrare, tanto fragili sono le opportunità di vita e lavoro.

Il fascino sottile del rischio, in qualche modo, non è altro che una rivincita nei confronti di un’onta subita, da cui i giovani si ribellano. I giovani interrogano la morte per sapere se vivere abbia ancora un significato (Le Breton, 1995).

Non tutti gli adolescenti si fanno coinvolgere in situazioni e comportamenti di rischio. Ciò nonostante queste azioni si riscontrano con predilezione in questa fascia di età, in cui il ragazzo vive ogni momento con incertezza, nel tentativo di riuscire nel passaggio da uno status a un altro.Il comune denominatore risiede nel contatto simbolico con la morte, che gli adolescenti raggiungono attraverso un’intima ricerca di significati. L’adolescente si spoglia poco a poco dei valori infantili per accedere nel mondo e nei rituali degli adulti

Questo periodo, caratterizzato da indecisione e tentennamenti, è da considerare favorevole alla sperimentazione dei ruoli e all’esplorazione di cosa circonda il giovane e delle varie possibilità che l’ambiente ha da offrirgli. 

Rischio come rito di passaggio

In mancanza di riti di passaggio (impensabili nelle nostre società), capaci di formare e mostrare la via per il pieno raggiungimento dell’età adulta, favorendo un senso d’identità radicato nell’ambiente culturale e sociale, e in mancanza di un entourage che possa contenere l’adolescente durante la sua ricerca di senso, il ragazzo ricorre ad alternative altamente simboliche, dedicandosi a prove personali che gli permettano di testare i propri limiti e di trovare un contenitore di riferimento che la società è sempre meno in grado di fornirgli. 

In assenza di una prova che rassicuri l’individuo del significato della sua esistenza, l’essere umano va incontro al rischio per testare la propria voglia di vivere.

Il contatto immaginario, che l’uomo stabilisce con la morte rende possibile simbolizzare le sue incertezze, rassicurandolo sul fatto che egli esiste. Il gioco con la morte, favorisce l’esplorazione di sé e dei propri limiti, permettendo all’essere umano di mettersi in relazione con il mondo e portandolo a constatare non solo la sua, ma anche l’altrui precarietà che caratterizza tutti gli individui. 

L’avvicinarsi alla morte attraverso uno sport o attività fisica, consente di sentirsi rassicurati sulla legittimità a esistere. 

Se la società non riesce a dare un senso all’esistenza degli adolescenti e a rassicurarli sul proprio futuro, espone i giovani alla nascita di irruzioni selvagge, in cui facilmente verrà espressa l’esigenza simbolica di confrontarsi con la morte. 

La società in cui i ragazzi esercitano la propria autonomia va sostituendo l’holding familiare. È fondamentale che la società dimostri al giovane che il suo essere ha un valore enorme ma, se nessuna garanzia riconosce la legittimità dell’esistenza, l’adolescente, avendo sempre più difficoltà a consolidare le scelte e a essere rassicurato sul fatto di trovarsi sulla buona strada, tenterà di allontanare il senso di vertigine che prova con una ricerca deliberata della vertigine, combattendo contro una morte sulla quale, avendo facoltà di scelta e decisione, può prendere iniziative e attuare strategie per evitarla. Attraverso le prove, si oppone frontalmente alla sua paura di non essere e non sentirsi sostenuto e di non essere attaccato a nulla o a poche cose. Il salto nel vuoto diventa il miglior modo per combattere ogni paura del vuoto e affrontare il mondo. 

La natura, in questo senso, è considerata autorità senza difetti, poiché si suppone che non sia macchiata da tutte le imperfezioni che caratterizzano l’essere umano. La natura dà il suo verdetto confortando i ragazzi nel loro valore personale. La natura riconcilia se stessi con il mondo. Va vista come quello spazio di transizione, in cui l’adolescente può spogliarsi della sua vecchia identità per ricercarne una più autentica.In questo senso, è fondamentale l’accento posto sul benessere, che l’adolescente prova nell’essere in grado di tenere in mano la propria esistenza, attraverso la padronanza del proprio corpo che, confrontandosi con la natura incontaminata, ha la possibilità di riscoprirsi e ritrovarsi.